Orfani di Marek

Senza capitano nessuna squadra può andare lontano, ma non è ancora detta l'ultima parola
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    di Francesco Albanese

    La verità è che possiamo fare tutti i discorsi che vogliamo, alla fine però il campionato in chiaroscuro del Napoli si giustifica soprattutto con l'involuzione che ha colto Marek (i dolori del giovane Hamsik li ha definiti Errico Novi nelle sue magistrali retròpagelle). Conoscete una squadra che abbia raggiunto traguardi memorabili senza l'apporto del suo capitano? Gli azzurri edizione 2013-14 non fanno eccezione. La mancata qualificazione della Slovacchia alla fase finale del Mondiale e il successivo infortunio hanno intaccato quelle certezze che in Marek sembravano granitiche. A conti fatti nemmeno ha giovato quella super partenza con duplice doppietta nelle prime due gare di campionato, cui si deve aggiungere anche il risolutivo ingresso in corsa nel match casalingo con l'Atalanta del 14 settembre. Dopo meno di un mese dall'avvio della maratona (Benitez dixit) pareva che la mutazione del numero 17 in una sorta di Gerrard del Golfo fosse ormai compiuta. Non era così. Intendiamoci alle pause sia di rendimento che realizzative del nostro eravamo vaccinati, ma quanto accaduto in questa stagione non era immaginabile. Quattordici partite senza andare a segno rappresentano un record negativo nella carriera dell'ex bresciano. Un digiuno imponderabile destinato (speriamo) a non ripetersi nel tempo un po' come l'eliminazione dalla Champions con dodici punti all'attivo. Primati negativi che pesano come macigni sull'economia di un'annata che, è bene ricordarlo, va sempre valutata come la prima di un nuovo ciclo. Temevamo di restare orfani di un Matador e invece ci siamo ritrovati navigare in un Marekscuro. È in momenti così che i capitani si dimostrano tali, non resta che ritrovare la giusta rotta. C'è tempo fino al tre maggio.
     

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