La lunga marcia verso Juve-Napoli e una certezza: la forza degli azzurri è nella testa
di Francesco Bruno
Juventus-Inter, semifinale d’andata di Coppa Italia. La prima reazione è: dovevamo esserci noi a giocarcela contro i bianconeri. Lo avevo detto anche una settimana fa, del resto. Una società come quella azzurra, che ambisce a inserirsi stabilmente tra le grandi d’Europa, deve iniziare anche a ragionare come loro, a non sottovalutare l’importanza di alcun titulo, a provare ad arrivare in fondo ad ogni competizione.
La prima reazione, dunque, è stata questa. Osservando la partita, però, mi si è accesa la luce su alcune lucide considerazioni. La rabbia per un titulo lasciato per strada resta. Ma oggettivamente, mai eliminazione è capitata più a proposito. Domenica scorsa a Genova il Napoli si è mostrato nella sua Grande Bellezza. Con quel 4 a 2 nitido e inequivocabile ha spazzato vie le scorie di una settimana infestata dai veleni tra Mancini e Sarri e dall’amarezza per una sconfitta che, comunque sia, ha significato prendere atto di aver perso un obiettivo stagionale. La vittoria contro la Samp è stata la testimonianza di una forza interiore, di una solidità caratteriale che isola gli azzurri da ciò che avviene all’esterno, senza per questo rinunciare alle proprie caratteristiche di esprimere un football di livello internazionale. Giocare in Coppa Italia a Torino in questo momento – e prendere magari un paio di palloni, ci può stare –, avrebbe potuto creare una piccola incrinatura nella vera forza di questa squadra che è la sua tenuta psicologica, soprattutto in vista dell’ “altro” Juventus-Napoli di metà febbraio. Gli azzurri avrebbero potuto correre il rischio di scendere in campo tra quindici giorni con la mente minata, magari inconsapevolmente, dal dubbio di non essere fortissimi, o perlomeno di non esserlo più della Juve. Ora, invece, andremo a giocarcela a Torino con la mente sgombra da pensieri negativi, con la convinzione di averli stracciati nell’unico confronto stagionale disputato finora. Partiamo noi in vantaggio, e se anche ci dovesse andar male, saremmo soltanto uno pari, rimetteremmo la palla al centro e ripartiremmo per lo sprint finale da qui a maggio.
Ad ogni modo, mi godo questo momento. E mi posso considerare una persona fortunata. In trentotto anni di tifo azzurro, dopo aver vissuto l’epopea di Diego, dopo aver creduto in Rafa Benitez – che, per me, è stato una specie di Maradona in panca –, non credevo di poter avere la fortuna di sognare, nuovamente e seriamente, di vincere il tricolore, vedendo anche giocare un calcio spettacolare, all’olandese, chiamiamolo pure tikitaka. Insomma, posso dirlo: Dio c’è.