Fabio Quagliarella, scusami.
di Boris Sollazzo
Caro Fabio ti scrivo. Così mi scuso un po'. Anzi, tanto. Mi piacerebbe dire che avevo capito, che quella cessione non mi aveva lasciato ferito e rabbioso. Mi piacerebbe dire che uno che baciava la maglia così, che si disperava tanto quando sbagliava un gol o una giocata, che si batteva il cuore davanti a noi, non poteva essere un infame. No, Fabio, non ero tra quei pochi: io ero tra i tanti che hanno sofferto indicibilmete per il tuo addio. E per quell'arrivo alla Juventus, quelle parole in conferenza stampa, per l'aver persino rifiutato i russi che offrivano 25 milioni e andare ai bianconeri per il 25% in meno.
Sembrava un dispetto, uno sfregio. Sembravi il classico mercenario che bacia la maglia e poi la ripone perché, anche giustamente, per molti professionisti i milioni di euro valgono più di milioni di tifosi. E poi, lo sai: quando ami tanto e trovi la luce dei tuoi occhi a letto con un'altra, peraltro una Vecchia Signora, non ragioni più. Prendi le valigie, le tiri fuori dalla finestra, non ne vuoi più sapere.
Vorrei dirti, Fabio, che poi ho capito. Che i tuoi "non posso parlare", li avevo intuiti. Che le tue testimonianze in procura, trapelate, mi avevano fatto capire qualcosa. Che il tuo chiederci scusa dopo un rigore segnato in maglia granata proprio a noi (rovinando la tua permanenza a Torino), mi avevano detto qualcosa della persona che sei. Vera, forte, sensibile. Niente da fare, Quagliarella mio: avevo visto passare Cavani e Higuain, ma la ferita del tuo addio era ancora aperta. E sì, quando sei entrato nella finale di Coppa Italia contro la Juventus e tu sei stato espluso dopo pochi minuti, io ho esultato, lì all'Olimpico, come fosse il terzo gol. Come quando incontri una vecchia fiamma che ti ha tradito e scopri che è diventata brutta e grassa: la conosci quella gioia meschina ti pervade, piena di rivalsa e rabbia. Perché lo sai che rimane bella.
Ecco, Fabio. Scusami. Non avevo capito nulla. Ti ho visto dopo Sampdoria-Cagliari, occhi lucidi e un peso enorme che tiravi fuori a fatica. Ti ho rivisto alle Iene: 20 minuti in cui tu, tuo papà Vittorio (mi scusi anche lei) e il tuo migliore amico Giulio De Riso, accusato ingiustamente a causa dello stesso complotto del delitto peggiore, il tradimento di un fratello, raccontavate tutto. Di uno stalker, di un persecutore, di un infame, lui sì, che ti ha rovinato la vita per 5 anni. Raffaele Piccolo lo aveva già nel nome, chi era. Ispettore della polizia postale, serpe che si è insinuata nella tua vita fingendosi amico discreto e disponibile e poi alleato nella battaglia contro un nemico oscuro. E solo un padre straordinario ti ha fatto capire chi fosse. Per un dettaglio che forse solo a un genitore disperato - nulla c'è di peggio di un figlio in pericolo - non poteva sfuggire. Scoprire che colui che doveva proteggerti, perché la sua professione lo pretende e perché si fingeva uno di famiglia, non solo non aveva mai depositato le tue denunce, ma era lui stesso a torturarti. Minacciando di far esplodere il tuo palazzo, mettendo una bara con la tua foto davanti a casa, telefonando e dicendo che dovevi morire con uno sparo in faccia.
Scusami Fabio. Perché non ho ricordato che per venire a Napoli tu la rifiutasti la Juventus. Che poi lì a Torino ti hanno creduto, protetto e tenuto a lungo, mentre noi dopo pochi mesi, quando quelle maledette lettere minatorie (centinaia) che ti accusavano infondatamente di pedofilia e collusione con la camorra (a te e anche ad altri vip dell'area vesuviana, come Guido Lembo) arrivavano a casa dei tuoi, a Castellammare, ma anche a Castelvolturno, in società hanno preferito voltarti le spalle. Perché alle maldicenze è facile credere e ti hanno venduto, praticamente a tua insaputa. Sempre quelle chiacchiere che erano uscite da quei fogli avevano fatto in modo che nella tifoseria si diffondesse il sospetto su quel Napoli-Parma che ci tolse la qualificazione in Champions: partita in cui segnasti e fosti espulso. Un rosso strano, sospetto. Certo, lo era: eri terrorizzato, incapace di concentrarti sul calcio, sull'orlo di una crisi di nervi. E qualsiasi cosa poteva far saltare il tuo equilibrio. Io, sono sincero, non avrei resistito come hai fatto tu: sarei impazzito o mi sarei fatto giustizia da solo.
Ora il colpevole in primo grado è stato condannato a 4 anni e 8 mesi - a dimostrazione di quanto gravi fossero i suoi atti, basti pensare che molti poliziotti della Diaz hanno avuto meno - e ricorrerà in appello e forse sfrutterà la prescrizione. Dopo aver reso la tua vita una prigione, dopo averti rovinato la carriera lui forse non entrerà neanche in un carcere, nonostante la sentenza del tribunale monocratico di Torre Annunziata. Perché la giustizia, in Italia, non è uguale per tutti. Ma tu, uomo d'onore e di orgoglio, avevi bisogno che si sapesse. Di non camuffarti più tra "la tua gente" (mi ha commosso sentirci chiamare così), di non nasconderti più.
Mi hai commosso Fabio. Perché Napoli ti ha tolto tanto, sia pure per colpa di una sola persona. Eppure tu vuoi tornare da noi, eppure tu hai capito che l'errore che abbiamo fatto è stato per troppo amore. Quello che a me e al mio amico fraterno Alessandro De Simone, nella foto di questo articolo, ha fatto indossare orgogliosi la tua maglia, mostrandone numero e nome. Perché, Masaniello, noi in quel momento ti immaginavamo capitano, perché volevamo crescere insieme.
Ecco Aurelio, facciamolo tornare. Lo so, abbiamo Pavoletti e Milik, ma facciamolo tornare lo stesso. Restituiamogli la sua gente e a noi restituisci un fratello, permettici di amarlo come merita. Come non abbiamo fatto quando avremmo dovuto.
E perché con quell'intervista Fabio Quagliarella non ha solo svelato il fatto che quella azzurra è la sua seconda pelle. Non ha solo detto che non ha tradito. Ha detto anche che Napoli è più forte delle sue mele marce, ha agito come Marek Hamsik dopo la rapina a mano armata subita dalla moglie. Ha detto a tutti che Napoli e i napoletani sono altri, che hanno torto i Paolo Rossi, i Kramer, i Di Natale che l'hanno rifiutata per paura e per ignoranza. Perché invece di vendicarsi con la sua città e i suoi concittadini che non hanno saputo capirlo e aiutarlo - era difficile, se non impossibile - si è confermato e sentito ancora più napoletano, ha detto al mondo che tornerebbe anche subito, perché rimane il luogo più bello in cui vivere, in cui giocare, in cui vincere. E allora facciamolo tornare. Facciamolo segnare nella prossima Champions che giocheremo, quando succederà. Facciamolo abbracciare a Lorenzo Insigne, dopo una triangolazione tutta napoletana.
Te lo dobbiamo Fabio, ma ce lo dobbiamo anche noi.
Scusa, Fabio Quagliarella. Per quello che può valere, per me sei un eroe. E oggi, quella maglia, la indosserò di nuovo. E se al San Paolo non tornerai in azzurro, con qualsiasi maglia ti applaudirò e urlerò il tuo nome a squarciagola.