Chiagnere e fottere
Il messaggio di mio padre, arrivato al minuto 89, era quello di un tifoso avvilito che continuava a guardare la partita per inerzia. Io, non più ottimista di lui, chiudevo la conversazione con un freddo ' no comment', accompagnando gli ultimi minuti con uno sguardo passivo e rassegnato. Poi, d'improvviso, il sussulto. Mi alzo dalla mia sedia e guardo basito un amico che attende conferme: il gol di De Guzmán sembra troppo facile e stupido per essere considerato valido e il Napoli era già proiettato in un buco nero, nerissimo ed irreversibile.
Invece adesso siamo qui ad esultare, a trovare qualsiasi scusa per ripartire da questa vittoria striminzita, ma che ci dà una boccata d'aria fondamentale in un momento di apnea forzata. Perché i tifosi del Napoli siamo così, fieri rappresentanti di quel 'chiagnere e fottere' intraducibile in italiano: ci basta uno squarcio azzurro in mezzo al cielo nero della tempesta per sperare in un domani migliore. Perché noi abbiamo sofferto da sempre, abbiamo avuto bisogno dell'arrivo di un Deus ex Machina dall'altro lato del mondo per trovare la gloria e da quel momento viviamo di ricordi. Perché ci piangiamo addosso spesso, e mai come quest'anno ne abbiamo ben donde: il sogno di molti fedelissimi è represso dalle politiche aziendaliste e conservatrici di un presidente che non intende salire l'ultimo scalino (o scalone) della grandezza. Perché, come dice giustamente Boris Sollazzo, a noi non piace vincere facile e quindi ci sta bene di non avere dietro una potente holding o uno sceicco, nonostante ogni partita abbia la stessa intensità di un agone di stoica memoria, tanto per rinfrescare le nostre origini greche.
Al di là di qualsiasi spiegazione razionale per la sconfitta di Bilbao o dei rammarici per una campagna acquisti poco spumeggiante, alla fine dei giochi siamo sempre pronti a soffrire per questa maglia, benché i pochi abbonati riflettano un certo malumore. Perché contestare è giusto, se ci sono i motivi, ma l'amore per la maglia resta intatto: siamo rimasti fedelissimi negli anni più tristi, quando tante squadrette di B e C si facevano belle battendoci. L'immagine del redivivo Zuniga, alla gogna mediatica dopo un parto di 11 mesi, che serve goffamente l'oggetto misterioso De Guzmán, è la famosa chiusura del cerchio, quel cerchio che si forma con i nostri beniamini abbracciandosi l'un l'altro e creando quel semplice 'Tutti insieme' che fa sorridere e scalda il cuore.
E allora continuiamo a lamentarci, a chiagnere, tanto poi tutti insieme torneremo a godere, a fottere, quando arriverà il momento, mangiandoci le unghie per il nervosismo per poi esplodere in quelle manifestazioni di amore incondizionale, impossibile da spiegare e irrazionale, come è giusto che sia.