Giù le mani da Rafa Benitez! Non si interrompe un’emozione
di Boris Sollazzo
Una sconfitta in quel di Parma. Tanto è bastato alle speranze razionali di Dario per cominciare a infrangersi, ma con giudizio. Tanto è stato sufficiente al deciso e analitico Domenico per imbastire un pezzo che, di fatto, era un’arringa inoppugnabile. Tanto ha fatto quell’uno a zero che, con calma, è arrivato anche Giulio, con la sua prosa implacabile e deliziosa, a entrarci dentro per solleticarci con raffinatezza tutte le sensazioni inconfessabili del tifoso più sanguigno. Più che un dibattito, un elegantissimo e composto massacro di un branco di penne tanto complementari quanto capaci. E io in mezzo. In ginocchio, pronto ad essere sbranato. E convinto dalla vostra prosa apparentemente e ammirevolmente inconfutabile di aver infine capitolato.
Sì, perché lo so, ragazzi che parlate a me. A chi ha portato Extranapoli su posizioni più rafaelite di quelle che gli sarebbero apparse più democraticamente naturali.
Lo so.
Ma mentre ero lì, sfinito, quasi vinto, ho capito. E mi sono rialzato in piedi. Urlando “Don Rafè!!!”.
Già, perché io vedo più lontano di voi. Avete gli occhiali migliori. Sono fatti della vostra competenza, della vostra cartesiana visione di una realtà evidente, del vostro inesorabile elenco di buone ragioni. Con quegli occhiali voi, vedete me, la preda, la vittoria di un giorno. Con il mio binocolo, io non vi sono ancora sfuggito, ma posso vedere altro. E alto. Mentre voi vi accontentate di questo animale accerchiato, che vi siete conquistati con i denti, con la vostra strategia da manuale, io vedo oltre. Lontano. A un premio ben più ricco.
Già, Dario. Tu entri nella testa del presidente. Ne spii le incertezze. Sei il più moderato, muori dalla voglia di essere smentito. Ma quella scrittura nitida e avvolgente è una ragnatela, hai l’impressione di non poterne uscire. Se non arrendendosi.
O tu Domenico, che camuffi la tua nostalgia in una panoramica degli errori da correggere, che dietro quei suggerimenti nascondi forse la posizione più granitica, di chi pensa che Benitez sia grande. Ma non per questo paese che cerca solo piccoli eroi meschini. Un Don Chisciotte con le fattezze di Sancho Panza.
Infine tu, Giulio, che azzanni la nostalgia, e fai più male. Tu che guardi all’amore di un tempo, ricordandone i momenti più appassionati.
Come rispondervi?
Con i fatti, come piace a voi. Con le visioni lucide e possibili, come piace a me al rotondo allenatore che mi ha rapito.
I fatti sono i punti. Mai, comunque, così tanti. Che vogliate prendere l’annata della Coppa Italia vinta, quella più simile a questa (c’erano ancora Lavezzi e Cavani, le stelle che il gattopardo ha venduto a peso d’oro), chiusa a 61. Al quinto posto. O quella dello scorso anno. Anche se ora siamo sopra di un misero punto.
I fatti sono che perdiamo e pareggiamo, più spesso di altre grandi, con piccole e medie squadre. Ma che non c’è big che abbiamo incontrato, in Italia e in Europa, che non abbiamo battuto. E come, poi.
Lecce, Palermo, Steaua, Uthrecht, Cagliari, per carità, han fatto godere pure me. Ma alla fine per vincere un trofeo c’è toccato spezzare le reni al Siena in semifinale.
Con Walteruccio, con le grandi si vinceva per caso, lo ricordate bene: capitava, con il ricco Manchester City, acerbo e tronfio, o con una Juventus appagata. Ma poi?
Giulio, per quattro anni abbiamo esultato per imprese rese miracolose dal nostro grintoso nanismo.
In Europa, poi, sei andato avanti come mai prima, per punti e turni superati (e non ha caso mai hai guadagnato tanto dalla Champions, mai hai totalizzato tanti punti nel ranking).
Potrei, come già fatto in passato chiamare a me illustri esempi come Ferguson o anche solo come il nostro Ottavio Bianchi.
Potrei ricordarvi che mai il vate di San Miniato ha dovuto ovviare a tanti infortuni traumatici, e in ruoli chiave, e mai dal ritorno in A, se non forse nel primo anno in massima serie con Reja, gli azzurri erano stati tanto maltrattati dagli arbitri. Favorito dall’eccessiva severità dei rigori contro il Torino all’andata, dal coraggio di Doveri, al ritorno di non fischiare un fallo d’attacco che non c’era, pur se telegenico. Favorito contro la Fiorentina a Firenze, per un rigore non dato a Cuadrado. Se i primi due sbagli, forse, potevano essere poco o per nulla influenti, l’altro errore è stato ampiamente risarcito da Tagliavento, che contro i viola al San Paolo ha falsato la partita.
In compenso i direttori di gara hanno condizionato i nostri match più importanti: ok, a Roma, Torino sponda bianconera, Dortmund, contro il Porto avremo fatto anche degli errori, più o meno gravi. Ma dateci quello che ci è stato tolto e giochiamocela ripartendo da là. Anzi no, perché Rafa, giustamente, a queste cose non guarda.
Lui ha un telescopio.
Lui farà tesoro della sconfitta di Parma: lo avete visto in faccia? Gli spogliatoi devono aver tremato e il peso di questo passo falso lo sentiremo, in positivo, anche nel mercato estivo. I vincenti veri imparano dalle sconfitte.
Ora ringhio io verso di voi. Venderò cara la pelle. O forse vi mangerò. Voi credete solo al possibile, amici miei. Io no. Io sogno, anzi voglio l’impossibile.
Con Walter, che tutti e tre sapete quanto ho avuto nel cuore e quanto ho difeso, io ero felice: ma alla fine di ogni battaglia, sapevo che più di così mai avremmo dato. Quella era la bellezza di quella squadra: la sua romantica incapacità e impossibilità di sedere tra le grandi, la sua ambizione di essere la regina delle “altre”, la più grande delle piccole. Sapete perché ci piaceva? Perché, escludendo l’epoca meravigliosa di Diego, noi quello siamo stati. Sempre: nella Storia e nel calcio.
Con Rafa è diverso: magari perdi a Parma come prima facevi con il Chievo, o pareggi con il Livorno fuori casa come un tempo con il Cesena in casa. Ma domini Juventus e Roma annichilendole, schiacci Arsenal e Dortmund.
Una volta imparato a tener testa alle corazzate, è più facile rintuzzare gli attacchi di guerriglia di piccoli contingenti. Possono esserci perdite all’inizio, ma qualche accorgimento ci permetterà di renderle un ricordo. Il contrario, lo abbiamo sperimentato per quattro anni, è impossibile.
Abbiamo rivoluzionato una squadra, inserito campioni, recuperato giocatori. La Roma ha tenuto il suo impianto ormai pluriennale e tagliato rami secchi vendendoli a peso d’oro, noi abbiamo ricostruito le fondamenta di un palazzo. La Juventus è quella di sempre, più Tevez e Llorente.
Tutto questo, lo abbiamo fatto essendo l’unica società d’Italia a non fare affari, di fatto, con le squadre d’alto livello della nostra Lega di Serie A. Da noi non comprano, a noi non vendono. E le piccole alzano il prezzo dei loro gioielli quando passiamo davanti alle loro vetrine. Forse su indicazione delle società a cui fanno da satellite. Aurelio non piace, sarà cafone ma con la sua schiettezza, verbale e persino fisica, spesso mostra loro che laido potentato siano. La Roma, per dire, sarà pure seconda, ma noi non faremo mai allenare la Juventus a Castel Volturno.
Ma, ripeto, io guardo avanti. E oltre.
E vedo la nostra unica possibilità di uscire dallo stereotipo che abbiamo fatto diventare un ghetto accogliente dove rifugiarci. La nostra napoletanità fatalista, la nostra rassegnazione alla sconfitta onorevole. O di vincere d’impeto e di astuzia, grazie al genio o alla sorte (quasi sempre a noi contraria, peraltro, e questo dovrebbe dirci molto sull’utilità della nostra ossessione per la scaramanzia).
Rafa ci ricorda, con il suo progetto, che siamo una capitale. Che nessuno può metterci in un angolo e chiamarci provinciale. Perché lui ci ha creduto: lui, in noi, ha visto la grandezza.
Fatevi sotto. Forse mi ucciderete o mangerete. O forse, per quella sola via, la più impervia, vi sfuggirò. E mi perderete di vista.
Noi vinceremo. Non come Simeone o Mourinho, pur adorandoli entrambi. Ma come quel Klopp che ieri, sul 2-0 contro il Real, mentre i suoi sbagliavano spesso davanti alla porta ma incantavano, applaudiva e rideva, felice. Perché era orgoglioso dei suoi ragazzi. Sono andati fuori, è vero, ma hanno vinto l’anno scorso, così come quello prima, e vinceranno anche al prossimo. Anzi, nei prossimi.
Klopp, che ha portato alla grandezza una squadra andando ben peggio di Rafa il primo anno. E avendo più soldi.
Mentre voi parlate di terzini e centravanti, Rafa pensa alla nostra Masìa, alle nostre giovanili, alle nostre strutture.
Scusate la scarsa eleganza, ma Mazzarri era la ragazza più bruttina della festa, ma tanto simpatica, disponibile e scaltra. Rafa è la ragazza dei tuoi sogni. Quella che non riesci a portarti a letto la prima sera, ma che vorrai accanto a te sempre. A cui stai dietro per anni, paziente. E voi, per quella donna, lo so, avete fatto di tutto. Per Rafa no. E qui non vi capisco: il calcio non è ragioneria, non è algebra, è un’equazione complessa di emozioni e talento. Come l’amore. Se fosse l’operazione matematica che ne fate voi, tra proporzioni e sottrazioni, i suoi albi d’oro andrebbero riscritti almeno per metà.
Non nascondetevi dietro le vostre paure, non celatevi dietro l’ombra del pur ingombrante De Laurentiis. Volpe, Gazza ladra o gattopardo che sia, ha avuto più coraggio di voi. Ha cercato Klopp, e dopo il suo rifiuto ha voluto lo spagnolo. Non un Antonio Conte qualsiasi, ma uno che non ha preteso un contratto monstre, casomai un progetto. Uno che ci mette la faccia e non piange, uno che non si piega di fronte alle prepotenze anche solo dialettiche degli avversari, uno che crede in noi più di noi stessi. Uno che non sposa la sua prudenza, ma non ne fa un alibi.
Uno, pensate, che è convinto di cambiare persino Aurelio. E un po’, vedi salary cup e diritti d’immagine, c’è pure un po’ riuscito.
I fatti e le statistiche ci dicono che fin qui è il migliore.
Ma il futuro ci dice che seguendolo, comprendendolo, criticandolo con la stessa professionalità e arguzia che lui ha sul lavoro e nella comunicazione (è l’unico che lo Special One soffre davvero, il Nostro), sostenendolo, i più belli della festa diventeremo noi. Tutti ci imiteranno, tutte ci vorranno. Lui sarà il trammammuro che ci porterà in alto.
Ma dovremo avere fiducia e pazienza. Vi ricordo che sul 3-0 per il Milan, in quella famosa finale di Champions League, i tifosi del suo Liverpool cantavano. E che per tre mesi, in cui la corteggiavo senza sosta, la donna della mia vita neanche un bacio voleva darmi.
Oddio, vi dirò, però lei la capisco…