Addio Ciro, anzi no. Perché vivi nella tua meravigliosa Scampia
è morto il calcio italiano. E con lui, a differenza di quello che ha scritto Beppe Severgnini nel suo editoriale sul Corriere della Sera di mercoledì scorso, è morta anche l'Italia. Ha esalato l'ultimo respiro insieme a Ciro, un rappresentante perfetto della situazione di questo Paese: un italiano abbandonato dalle istituzioni prima e durante la sua (ma anche nostra) tragedia. Non è un caso che ci abbia salutato praticamente lo stesso giorno della disfatta del calcio nostrano ai mondiali in Brasile. Hanno abdicato tutti: Prandelli, Abete, ma anche Zaccheroni, Capello e soprattutto Ciro, un tifoso incolpevole. Zero. Tabula rasa. Silenzio. Un minuto di silenzio per il calcio italiano. Una stagione di silenzio per Ciro Esposito.
La compagine di Prandelli è affondata come una barca alla deriva, in maniera incredibile e, forse, inaspettata. Anche lei ha avuto il suo comandante Schettino: quel Gianluigi Buffon che, in veste di capitano, nel momento della disfatta, ha salutato tutti salvando se stesso, la moldava e i pochi amici al comando insieme lui. Ha scaricato le colpe su altri, ha puntato il dito in maniera decisa sui giovani, senza fare nomi, ovviamente. In perfetto stile italico. Capitano, comandante, risalga su quella nave, cazzo! No, non è risalito su quella nave. Ha farfugliato qualcosa e ha salutato tutti. Speriamo per sempre, a questo punto. Perché un Capitano, in quanto rappresentante e garante di un gruppo, dovrebbe essere quello che ci mette la faccia, che si prende le responsabilità e non quello che scarica tutti. I panni sporchi si lavano in casa, caro capitanuccio da quattro (mila) soldi.
"L’elmetto dobbiamo mettercelo tutti, perché è giusto prendersi gli elogi quando vinci e le critiche quando le cose non vanno bene. Noi ci mettiamo la faccia [...]". Ecco cosa dovrebbe dichiarare un capitano dopo la sconfitta, ecco cosa dichiarò Capitan Cannavaro dopo l'eliminazione da Sud Africa 2010.
Ma il presunto capitano Buffon-Schettino, va benissimo così. In perfetto stile Italia. Un rappresentante di un organo, istituzione o organizzazione, che nega, si nasconde e scarica colpe su altri. Un comportamento coerente con il "modus operandi" delle nostre istituzioni durante e dopo quella maledetta notte del 3 maggio che ha portato ad una morte assurda. Mentre ultrà storicamente avversi ai colori azzurri dimostravano solidarietà, lo Stato si nascondeva lasciando che i media scatenassero illazioni assurde su Napoli e i napoletani (hanno addirittura ipotizzato che quella pistola provenisse da Napoli). "Ciro Esposito è di Scampia, proviamo a vedere se ha collegamenti con la malavita, vediamo se c'è una bella storia da raccontare, una storia alla Gomorra". Ciro Esposito era un lavoratore onesto e un ragazzo pulito e l'equilibrio invidiabile, l'eleganza e la dignità che la sua famiglia ha dimostrato in questi cinquanta maledetti giorni ne sono la prova. Non c'è nessuna storia da scrivere su Scampia, c'è solo una tragedia da raccontare, una tragedia che ci vede tutti coinvolti, perché insieme a lui siamo morti tutti. Insieme a Ciro è morta anche l'Italia.
In verità, una storia da raccontare sulla tanto vituperata Scampia ci sarebbe. Quella che non ti aspetti. La storia di un quartiere, di una comunità che non abbandona, che non scende dalla nave, una comunità che solidarizza con le difficoltà economiche della famiglia Esposito organizzando spontaneamente una colletta per pagare i funerali di uno di loro, di uno di noi.
Solidarietà, condivisione, civiltà, comunità.
Questo Paese è morto insieme a Ciro. Ricostruiamo l'Italia sull'esempio di Scampia.