Song'e Napule: ci volevano dei romani per raccontare Napoli

Tra improbabili neomelodici e un'indagine di polizia tutta amore e fantasia, i Manetti (ri)scoprono la nostra città
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    di Boris Sollazzo

    Tocca ammetterlo, pur essendo romani e romanisti, i fratelli Marco e Antonio Manetti l'han capita al volo Napoli. E vale anche per uno ancora più giallorosso come Alessandro Roja, il cui personaggio, precisino e imbranato, comincia sopportandola e poi finisce per amarla alla follia. Un po' come successo a suo suocero, Claudio Ranieri.
    Song'e Napule è l'ennesimo gioiello di due che da sempre friggono il pesce con l'acqua, che con pochi mezzi e tante idee fanno grande cinema.
    Qui la storia di Pino Dinamite, in verità sbirro infiltrato nel gruppo musicale di Lollo Love, è un poliziottesco musicarello. Il primo è appunto Roja, il secondo il napoletano Giampaolo Morelli, entrambi troppo bravi e troppo poco furbi per entrare nel giro che conta dei salotti buoni, ma con un talento alla Mertens, che li rende spesso infallibili e sempre efficaci e belli da vedere. Insieme, poi, fanno una strana coppia che vorremmo rivedere presto in campo. Pardon, al cinema. Insieme. Ci si diverte molto con questo giallo sconclusionato, in cui Napoli viene presa in giro da chi gli vuol bene, in cui si mettono in scena gli stereotipi per poi rovesciarli, dove per catturare un camorrista devi ingannare un musicista (e a volte capita persino il contrario). Alla fine il neomelodico Lollo Love, sempre attento alle sue fan, le "cuoricine", dà uno schiaffo morale a tutti, così come quella Serena Rossi che prima fa la parte della donna partenopea tanto bella quanto sottomessa al maschio di famiglia, per poi dimostrare una cazzimma rara.
    I Manetti usano la nostra città come una cartina di tornasole del paese - e in questo senso il commissario bastardo Sassanelli e ancor più il dirigente traffichino Carlo Buccirosso, da Oscar, ne sono lo specchio più fedele - ma poi la coccolano. Si vede da come cercano angoli diversi dal solito per raccontarcela, anche a livello visivo. E alla fine dovrete ammettere che qui ritmi melensi e quelle rime spudorate vi rimarranno in mente e, da soli, ammetterete pure che vi sono piaciute. Ironia e empatia vi permetteranno di andare dove non vi avventurereste mai.
    I Manetti sanno che a Napoli c'è la spazzatura. Quella vera, e pure il trash. Ma invece di indicarla e sentirsi superiori, ci rovistano dentro, per vedere da dove arriva, cosa c'è sotto. E attorno.
    I Manetti sembrano Benitez e Pecchia, innamorati di una città che devono domare e guardare con affettuosa e ammirata obiettività. Buccirosso è un Higuain: lo vedi solo per cinque minuti, ma ti fa la tripletta. Roja sembra Callejón: da anni mostra un eclettismo e una voglia di sfidarsi pari solo a quella dello spagnolo. E meriterebbe una convocazione per la "nazionale". Morelli, napoletano doc e da anni uno dei nostri interpreti migliori, attore feticcio dei due registi, come abbiamo già detto è un Mertens: ti risolve la partita con due giocate, torna indietro e recupera, alla fine viene sottovalutato rispetto al suo lavoro.
    Sassanelli, tignoso com'è, sembra il miglior Behrami. Serena Rossi, assomiglia al miglior Insigne. Il suo tiro a giro è il sorriso, il suo dribbling quella capacità di uscire fuori dal personaggio che gli han disegnato addosso. E pure quando non la fa giusta, tu la ami lo stesso.
    E noi ci auguriamo di veder vincere Song'e Napule, al botteghino (ottimo l'esordio in cui ha fatto meglio dell'ultimo Depp e anche di Crowe). Potrei persino cantare la hit di Lollo Love in pubblico, poi, se portasse persino fortuna ai nostri azzurri.

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