Reina, Callejòn, Higuain, Insigne, Mertens: toglietemi tutto, ma non i miei cinque assi. Bada bene, di un colore solo
di Enrico Ariemma
Qualcuno ha detto che scegliere non è, semplicemente, accoglimento attivo di un’opzione, esercizio consapevole di una preferenza, esibizione ostentata di una predilezione. Scegliere è anche escludere una miriade di possibilità diverse, di aperture alternative, di percorsi secondari. Ma bisogna capire da chi ripartire, distinguere la locomotiva di questo Napoli dai pur lussuosi e rinunciabili vagoni.
Ora, allestire un podio che, con la concentrazione omissiva della sintesi, costituisca una sorta di “summarized season” è operazione che comprende in sé una percentuale massiccia di sacrificio. Insomma, quella che nel mio lavoro quotidiano (Enrico è docente universitario e latinista - ndr) si definisce “valutazione comparativa”: vince uno, gli altri sono fuori.
La palma, di necessità, andrà alle punte dell’iceberg, i top players, e nemmeno tutti: spiacerà lasciar fuori - un nome a caso - Raul Albiol, ad esempio. Ma nemmeno apparirà giusto ignorare Fernandez o Inler, entrambi appiattiti inizialmente sui livelli di rendimento dell’antica gestione, ma sui quali la mano ferma e serena del tecnico ha agito in profondità, conducendoli a un sequel di prestazioni di profilo superiore.
Taccio, in questa sede, del tecnico, sulla cui personale annata abbozzerò un bilancio molto presto.
Dunque, ecco il mio podio, con un paio di trasgressioni/licenze rispetto a norme consolidate: un ex-aequo, un premio alla leadership, per un pokerissimo di alfieri che dovranno portare la bandiera azzurra anche nei prossimi anni. Sono, per me, gli irrinunciabili per sognar l'impossibile.
E perdonate l’accumulo di ® : in tempi di facili furti telematici, i miei pochi copyrights me li tengo aderenti come una guaina.
3. ex-aequo:
a) Lorenzo Insigne, Muccusiello®
Evolutosi, come un geniale mio sodale ha scritto, in figura mitologica, metà calciatore e metà guaglione d’o bar, tramontata la fase di gioco da guappetiello ai giardinetti, eliminati pallonetti presuntuosi, spregio sistematico dell’opzione di scarico, ricerca ostinata dell’effetto, è passato dai giri di campo finali sotto la personale tutela di Rafa alla fiducia spalmata da tecnico e spogliatoio sulla sua pelle, ambrosia stillante da ogni giocata. Alla faccia degli “Insigne deve crescere, deve accettare i fischi, e come si è permesso di rispondere, guadagna tutti quei soldi, rispetto dei ruoli, e poi si fischia come a teatro, e Caruso fu fischiato”, come hanno sentenziato orde di pennivendoli d’accatto che provano ad autopromuoversi col pallone senza saperne un’acca, senza mai concedersi il lusso di un biglietto di andata divano-stadio a/r.
Con Benitez Lorenzo ha fatto quello che il suo procuratore sosteneva che gli chiedesse, sfiancandolo, Mazzarri: un lavoro di copertura incessante, di mattanza di gambe e cervello, che gli ha tolto lucidità e che per la squadra è stato spesso oro colato. In questo senso, si dovrebbe aprire un tavolo di trattativa su una piattaforma condivisa di strategie e obiettivi, per definire cosa si vuole da lui. La mia sensazione, da Natale in poi, è che Lorenzo intrapreso il Cammino di Santiago della sua carriera. Tra un po’ correrà di meno, saprà gestirsi e dribblerà meglio, poi segnerà come a Pescara e a Foggia. Ma queste Forche Caudine lo hanno plasmato: straordinaria maturazione in termini di formazione del carattere, di disponibilità al sacrificio, di incremento meramente fisico dell’efficienza della gamba: il tutto in un contesto di convivenza vagamente coatta con un modulo, appunto “formativo” ma poco remunerativo (lui è un esterno da 433). Il guappetto presuntuoso con rasatura di periferia è andato trasformandosi, con sempre maggiore evidenza, in atleta completo, in giocatore semiuniversale.
Ci sta, col gravame mediatico dei sentori di esclusione dal Brasile (poi, per fortuna, disattesi da un Prandelli inusualmente impavido), che abbia tentato provare l’acuto col colpo a sensazione: non lo giustifico, ma lo comprendo, stante la dialettica tattica che ne mortifica le conclamate attitudini costringendolo ad inventarsene altre portando croce. Sempre più spesso lo si è visto avviare transizioni e ripartenze, mettere al servizio della squadra cuore polmoni neuroni; provando a creare superiorità anche rischiando la brutta figura. Ma è una fase, come dico da mesi, profondamente metamorfica, lunga e complessa, che lo porterà a diventare attaccante moderno, leggasi universale, ad onta dei fisico che ancora regge poco lo scontro frontale. I numeri Opta a fine aprile recitavano: 159 palle guadagnate, 56 assist di cui 9 letali per l’avversario. Imprescindibile, e mica da due partite, non guardate le figure: da almeno tre mesi. E poi finisce che al Mondiale ci va Tizio, o Caio.
E poi c’è la serata di Roma, la sua doppietta a risarcire una stagione avara di segnature (ma il Dortmund, ma lo Swansea), un colpo a giropalla che disegna un moto di rotazione e rivoluzione fantascientifico. Quanto ci teneva, quanto ha invocato il sostegno del suo pubblico, quel crepuscolo romano maledetta di ponentino maledetto. Te lo di io il Brasile, Lorenzo, che sei prima scelta, oggi come oggi. E se ne sono accorti anche fuori da Napoli, in quel benedetto primo giugno che ti ha dato la convocazione che tanto desideravi.
b) Gonzalo Higuain, Prometeo®
Che poi sapevamo che non avrebbe segnato quanto il Matador, di cui sono stato vedovo, chi lo nega; ma è anche vero che mi sono rifatto una vita con una donna non più bella, solo diversa, forse più piena, matura, completa. Insomma: credo non sia né migliore né peggiore di chi lo ha preceduto: più semplicemente, ci ha aiutato a non dimenticare e non dimenticarlo, aiutandoci a costruire il futuro, riponendovi speranza e forse certezza, e a custodire il passato senza restarne schiavi. Ora, vedete, chi ama non dimentica, e io non ho dimenticato il Matador, e le sue triplette, quella (quelle) alla Lazio, e poi alla Juve, e poi i quattro in EL. Solo che Cavani si portava il pallone, e via, con le midolle ardenti divorate dalla sua stessa ambizione - legittima, per carità. Il Pipita no. Prende il pallone, lo solleva, ci fa il giro di campo, lo mostra a noi col pugno liberatorio della vittoria. Il pallone, quel pallone della tripletta, è il medium tra noi e lui, il trait d’union, lo strumento col quale e per il quale noi e lui diventiamo una sola cosa. Io lo so il perché. E lo sa D10S. Ma andatelo a spiegare, a certi cavernicoli, che un argentino vero solo qua può giocare.
Il tutto in una stagione straordinaria per l’impatto su squadra e piazza, non epocale per rendimento complessivo. Ma è Gonzalo Higuain, signori. Un anno fa giocava con CR7 e altri dieci-dodici titani. E non ha ancora ventisette anni.
Ha mostrato dal primo giorno una faccia, e un atteggiamento, da leader nato. E della squadra è uno dei leader, se per leadership deve intendersi anche l'attitudine a intuire un attimo prima, con ferma e serena spietatezza, cosa va fatto, dove si sviluppa il gioco, come ottenere il meglio da una singola situazione.
Ne ho visti pochi, nei miei quarant’anni di calcio sul campo, così forti e intelligenti. Certo, plateale nelle proteste (sistematiche), un neo da estirpare tramite dermatologi di qualità. Ma che goduria quell’attitudine a creare spazio con movimento e doppio marcatore, quell’approccio modernissimo nella partecipazione all’azione, nei cambi di gioco, nel proclamarsi fromboliere. Senza essere l’unico terminale offensivo, un calciatore da nuovo millennio, che fa un sacco di cose innovative e tante buone care cose tradizionali. Va in pressione praticamente da solo, allungando la squadra; la fa salire difendendo palla; regala gemme di regia con cambi di gioco di quaranta metri al bacio, crea una voragine in area solo muovendo il bacino e attirandosi addosso un reparto intero.
Capace di essere nueve falso più di Giuda per aprire prospettive di incursione ai due esterni. Creare uno spazio dove non avrebbe dovuto esserci nessuno spazio, dice il Peregrino Fernandez di Osvaldo Soriano. E poi il nove vero, quello con stoccata da cannoniere e tap-in da opportunista. Un profeta, un poeta del gioco. Come Prometeo: dispensa a piene mani, con Amore e generosità di un eroe culturale, con filantropia, appunto, prometeica, giocate di incredibile difficoltà, siderale resa estetica, geniale funzionalità, paurosa efficacia: e l’efficacia a volte sfugge allo spettatore meno avvertito, rapito dalla mera Bellezza. «L'uomo che mostra cortesemente la via a un viandante smarrito, fa come se dal suo lume accendesse un altro lume. La sua fiaccola non gli risplende meno, dopo che ha acceso quella dell'altro». È così: fa luce agli altri, senza smettere di brillare in quanto Pipita.
2:
Dries Mertens, QuadricipiteDiMarte®
Illegale, dice Boris. Il folletto dal nitroadduttore corre, inventa, conclude, devasta, annienta, reprime, inganna, sguarra. Idee che fioccano proporzionalmente all’esplosività dei quadricipiti.. Gioca con una semplicità atterrante, straordinario nel primo movimento a spostare la palla per andare al tiro o saltare l’uomo e rasoiare in mezzo, riducendo mezza squadra avversaria al terrore reiterato e continuato. Le partite le spacca anche quando non le spacca, hai sempre la sensazione che nasca qualcosa, qualcosa non di fumoso, non di spettacolare, ma di esplosivo, funzionale, produttivo. Da fine ottobre in poi condizione fisica paurosa, da incontinenza motoria: i cambi di ritmo, uno dei limiti strutturali di squadra, li ha impressi quasi sempre lui.
Andrebbe spesa qualche parola per la cazzimma d’ordinanza in copertura, per quelle rincorse a cervice inarcata ad arpionare palla in recupero piroettante: non solo tecnica, anche determinazione, ingredienti shakerati in un cocktail indigestissimo. Quel bacino basso lo mantiene in piedi anche quando si rischia di falciarlo; massa muscolare compattissima al servizio di una reattività da Guinnes.
lo considero una creatura di Rafa, che ha implorato tutti, all’altezza di ottobre, di attenderlo sin prisa. E i suoi gol, tutti di imprint superiore, prendiamo Firenze: in mezzo a due, preceduto da un movimento in taglio a entrare ma esterno, roba per palati finissimi; un gol che si è attirato addosso un giusto pulviscolo di discorsi critici (avrebbe detto Calvino) e di confronti illustri (Maradona-Brescia, Maradona-Belgio, e altri ancora, pertinenti e non). Prendiamo la magia di Verona: una magia avendo venti centimetri a disposizione per lasciar passare il pallone. E ancora la Juve, e ancora la finale di Roma. La doppietta di Napoli-Verona. La doppia cifra in campionato. E qualche cornacchia travestita da Cassandra che fissava in non più di otto le presenze da titolare nell’intera annata.
E poi l’amore per la città, espresso con ignaro stupore appena sbarcato, ribadito alla vigilia dell’ultima giornata dopo nove mesi di esperienza quotidiana di noi. Basterebbe questo, se non ci fosse tutta quell’altra buona roba.
1:
José Callejon, ToreroMariuolo® e DottorSottile®
Sì, lui. Piede buono, non spreca nulla, è il calciatore in rosa che più si avvicina al profilo dell'atleta moderno, duttile e soprattutto decisivo fa sempre la cosa più naturale, camaleontico e imprendibile, cerca e trova sempre la posizione, si integra alla perfezione con gli esterni di difesa a destra e a sinistra, copre e un attimo dopo attacca lo spazio, taglia, si inserisce, corre con Runtastic&Runkeeper ai due polsi. Soprattutto, è pressoché impossibile intuirne i movimenti. Impressionante la capacità di tesaurizzare tutto quello che gli capita tra i piedi. Fa il falso nueve, fa il difensore, filtra, non butta una palla nemmeno a sparargli alle gambe, se fosse guizzante anche nell’uno contro uno (che evita quasi sistematicamente) sarebbe il Mazzola degli anni 2000. Legge 'prima' il gioco con una nonchalance sovrana, si rimbocca le maniche offrendo disponibilità ad un lavoro multitasking che spazia dalla prima punta al laterale basso di destra al trequartista destro, sinistro e centrale. Garantisce ripartenze, uno contro uno, appoggi in laterale, corsa, gamba, gioco macinato, tritato, liofilizzato, immarcabile perché ovunque, incompreso talvolta anche dai compagni per genio e fulmineità dei tagli. Capite perché è sempre libero, quando riceve palla? Soprattutto, le difese lo capiscono in ritardo. Rapporto anticipatario col pallone, una sorta di esegesi moderna del carpe diem: cogliere l’attimo semplicemente fiutandone l’arrivo. Lui è un avanguardista, è trent’anni avanti. Saranno gli andalusi: un andaluso come lui ha detto un giorno al Che: “ogni attimo bisogna guardare / per sapere dove ci troviamo”. Eccolo qua. L'intelligenza al potere, una inteligenza da Nobel. Un calciatore il cui valore risiede per almeno il 70% per il gioco senza palla, nelle due fasi. Alla benzina da pendolino affianca una sagacia tattica che lo porta ad essere sempre, senza eccezioni, al posto giusto nel momento topico. La naturalezza del gesto con cui gira indietro al difensore per poi coordinarsi e mettere nell'angolo il pallone (quanti ne ha fatti, così) è commovente, nel senso etimologico: muove una serie di cose dentro chi guarda. La stessa naturalezza con cui (apro il cascione) si presentò contro il Bologna il 26 agosto prendendo palo pieno, al volo, su un gocciolone che cadeva da 10 metri a pendolo.
Fa tutto, proprio tutto, tra poco viene a casa mia, si prende 7 euro l’ora. Ricordate? “Luisa inizia presto, finisce presto e di solito non pulisce il water…”
Tra vent’anni, quando la benzina avrà trascolorato in acido lattico, sarà un allenatore da urlo. Vede troppo, troppo bene il gioco, lì in mezzo. Lo capisce troppo, troppo prima dei comuni mortali.
Il range 10-20 gol profetizzato da Rafa mi sembrò una simpatica battuta da cabaret: gli detti del buontempone, e una volta, lo confesso, del marchettaro. Perché un uomo di serietà così specchiata si prestava ad una faciloneria così imprevidente? Aveva, al solito, ragione. A nove milioni quattrocentottantamila euro, abbiamo in casa un top player, anche se Del Bosque non lo sa. Per gli altri dettagli, si prega vederne il valore stimato attuale (ancora al ribasso) su www.transfermarkt.com.
Menzione speciale
Pepe Reina, LìderMaximo®
Ricordo la ‘nziria per Julio Cesar, un anno fa: che ora sta marcendo in qualche scantinato canadese. E invece, dopo due settimane, innamorati tutti dei rinvii di sessanta metri al bacio, e di prima, posizione molto 'creativa', reattività esplosiva. Dopo la sua prima cappellata, ad agosto all’Emirates, scrissi: “Ci farà divertire, escluso il fegato e un quaranta per cento di coronarie. Matto”. Uno di quei portieri, cioè, che a fine campionato ti rendono un saldo attivo di 6, 8, forse 10 punti. Magari se ne riprende tre o quattro per qualche follia. Ma in fondo è follia anche il gesto che lo ha impresso a fuoco nei cuori di tutti. Quel rigore parato a Balotelli, roba di una didascalicità esemplare: resta fermo ma si inclina di 15 gradi con le spalle, quando Balotelli calcia è già un metro e mezzo fuori dai pali, gli chiude lo specchio dimostrando una reattività fulminea e una potenza lombare fuori media
Questo centauro mezzo uomo e mezzo regista è stato un plus di siderale importanza, dentro e fuori del campo, fuoriclasse assoluto nelle esultanze reiterate e continuate; contano pure quelle, sono gesti tecnici pure quelli perché certificano entusiasmo, motivazione, leadership: “La sua gioia si fa una capriola / si fa baci che manda di lontano. Della festa - egli dice - anch’io son parte”. Pepe è il capo dello spogliatoio riconosciuto da un tecnico della caratura umana e professionale di Benitez, Uno di quei carismatici estroversi come ne nascono, nello sport e nella vita, solo per alchemiche congiunzioni astrali: Quanto è rassicurante nel dare il cinque ai compagni che entrano in campo per il riscaldamento. Che lui si fa vedere cinque minuti prima, saluta il pubblico e si fa lo shampoo alla pelata con l’erba bagnata.
Da venerare come un oggetto di culto selezionato e prezioso. Qualcuno ha scritto che il portiere è “quello che durante una partita ha più tempo per pensare, ed è il pensiero che rende l’uomo interessante”. Un altro motivo per renderci intollerabile l’idea di lasciarlo andare, di non correre a Liverpool a ricomprarcelo ora, subito, adesso.
Non toglietemi, dunque, questo pokerissimo, per nessun motivo. A nessun prezzo.