Arrivederci Maurizio Sarri. Questo non è un addio.
di Boris Sollazzo
Maurizio mio, io ti immaginavo a battere tutti i record qui a Napoli. Anche quello di permanenza di un allenatore sulla panchina del Napoli. Anzi, quello assoluto di permanenza su un’unica panchina in tutta la serie A. Anzi, in tutto il mondo. Maurizio mio, questo era l’unico pezzo che pensavo non avrei mai scritto.
E invece, eccoci qua. In una storia d’amore, quando ci si lascia e ci si ama ancora, nelle prime ore cerchi colpe, responsabilità, alibi. L’ho fatto anche io. Ce l’ho avuta con Aurelio, perché non faceva abbastanza per tenerti con sé, con noi. Poi con te, che eri lì ad aspettare un’altra, più bella e più ricca, e noi lì ad aspettarti. Perché quando ami, sei disposto anche a perdonare qualche piccolo tradimento, un’infatuazione. Pensavo che alla fine, questo piccolo grande amore non si sarebbe spezzato. Pensavo che dopo Napoli-Crotone non mi stessi dicendo “vi lascio perché vi amo troppo”. Scusa banale, ma in fondo non lo siamo tutti quando una cosa grande finisce, incapaci di esserne all’altezza? Anche noi, in fondo, ora che dopo che la nostra amata moglie ci ha lasciato e ci troviamo Charlize Theron nuda nel letto (Carlo Ancelotti) e mentre lei dorme, pensiamo a colei a cui avremmo consacrato la vita e i nostri sentimenti (sì, tu Maurizio). E’ bella Charlize, ma sapremmo innamorarci di lei come di te? Non lo so, non credo. Ti amava anche Aurelio, maestro, tanto che ha dovuto cercare, trovare, conquistare il migliore di tutti per lenire il dolore del tuo abbandono. Il suo, il nostro, pure il tuo: perché non meritavi una mezza cartuccia a sostituirti.
Non smetterò mai di amarti, Mauriziosarri. Sì, tutto attaccato, perché io il tuo nome l’ho detto sempre in un unico respiro. Forse solo Vinicio e Diego ci hanno riempito gli occhi, il cuore, il petto d’orgoglio come te. Forse tu hai fatto di più, perché non ce l’aspettavamo. Il mio colpo di fulmine l’ho vissuto a Latina, quando fuggii per vederti, in un’amichevole precampionato. Nel primo tempo di Napoli-Samp, ero con un grande regista, che aveva già capito che saresti stato un protagonista da Oscar. Volevano in tanti la tua testa, noi no. Eravamo già innamorati.
No, vate, non sono state le manite a conquistarmi, né San Siro che con te è diventato terra di conquista, non le vittorie a Roma, i gol capolavoro di Mertens, le trame celebrate da SuperSarriBros, gli scudetti sfiorati e neanche quella vittoria poetica e meravigliosa allo Stadium con Koulibaly che vola dove osano solo gli eroi. No, ti ho amato perché mi hai difeso con un dito medio da chi mi insultava, perché hai portato la bellezza nella città che più ne aveva bisogno e più sa apprezzarla, perché hai incarnato la voglia di ribellione, rivoluzione, purezza che per me è il calcio ed è Napoli e il Napoli, perché non hai mai avuto paura di dire o fare la cosa più scomoda, perché quel gruppo che hai creato è ciò che di più bello può dare lo sport. Ragazzi che si e ci guardavano con amicizia, fratellanza e senso di appartenenza, che hanno cantato con e per noi, che si e ci sono sempre stati vicini, che hanno creduto in un sogno. Perché uno stadio intero, una comunità, un popolo ha saputo celebrare una sconfitta più di un tricolore. Mi hai fatto sognare e non mi vergogno a dire che con te sarei stato disposto a perdere per altri venti o trent’anni, ma a farlo così. E che qualsiasi vittoria dovesse arrivare, non sarà bella come le nostre sconfitte, profonda come le nostre imprese che altri definiscono inutili, perché non possono sapere cosa vuol dire essere napoletani. Nè tanto meno sarristi.
Io lo so che tornerai. Io ho bisogno di saperlo. Una storia d’amore come la nostra non può e non deve avere questo finale. Vai, diverti e vinci altrove, poi ritroviamoci, più adulti e consapevoli, e arriviamo in cima insieme. Il miracolo non è finito, non è sfumato. E’ solo rinviato a quando saremo pronti. E sappi che se Carletto ci porterà dove tu non sei riuscito, perché te l’hanno impedito, noi inneggeremo a lui, ma anche a te. Perché noi - e anche lui, ne sono sicuro - sapremo sempre che sarà anche merito tuo, che quella strada l’hai costruita tu, che ci hai mostrato il sole dell’avvenire e la direzione da prendere.
Sai Maurizio? Mi avevano proposto di scrivere un libro su di te, se avessimo vinto lo scudetto. E invece andrebbe scritto ora: sarebbe una lettera d’amore di centinaia di pagine. Un amore puro e disinteressato, come il tuo, il nostro. Un volume che racconterebbe a tutti perché a mia moglie, che il calcio non lo ama, si inumidiscono gli occhi ogni volta che pensa che non indosserai la nostra tuta il prossimo anno, o perché io che ora sento, vedo, leggo juventini, romanisti, milanisti rosicare perché abbiamo preso l’allenatore italiano più titolato al mondo, ho il cuore pesante. Pronto sì ad accogliere il mister di Reggiolo (un colpo straordinario, la dimostrazione che Aurelio è un condottiero vero), così entusiasta di iniziare a combattere per noi, ma triste perché io è con te che volevo vincere. Perché hai creato qualcosa che non dimenticheremo, perché Benitez ha vinto due trofei, Mazzarri uno (e tutti sapete quanto abbia adorato entrambi) ma a me il magone e il sorriso, per ogni ricordo, anche i più dolorosi, viene per te. Perché io al Bernabeu mi sono sentito fiero quando un madrileno, lo stesso che immaginava una passeggiata all'inizio della partita, mi ha messo la mano sulla spalla dicendomi “gran bella squadra”. Perché il primo tempo del ritorno, quando Ramos e soci erano terrorizzati e Modric era costretto a fare il libero, non potrò mai dimenticarlo.
Vincere non è l’unica cosa che conta. L’ho sempre saputo, ma con te ho capito perché. Conta essere i migliori, non i trofei. Conta fare del proprio meglio, non trionfare a ogni costo. Conta non venire mai meno ai propri principi, non trovare una coppa, un campionato, una vittoria solo perché sei il più potente, politicamente, economicamente e nessuno ha il coraggio di fare la cosa giusta, ma solo la cosa più conveniente. Perché con il tuo calcio proletario e poetico hai messo in crisi un sistema intero, il capitalismo calcistico e non solo: una comunità solidale e idealista contro il denaro e il potere vile e codardo di chi usa ogni mezzo per vincere. Per questo la tua eventuale vittoria faceva così paura, ai poveri di cuore e di spirito un tuo scudetto avrebbe detto che l’utopia è solo una definizione dietro cui nasconde chi ha paura di sognare, fare la cosa giusta, provare a prendere il palazzo. Chi ha terrore di combattere le battaglie che non è sicuro di vincere, la chiama utopia. Noi la chiamiamo Sarri. Pensa ad Ancelotti: senza di te, Aurelio non l’avrebbe preso. Un sogno impossibile, solo pochi giorni fa, si è realizzato. Grazie a te. Uno dei tanti. E no, non ce l'hanno rubato il sogno: se lo sono rubati da soli, noi lo abbiamo vissuto. Loro non hanno permesso alla storia di farlo coronare con una vittoria. Se ne pentiranno, come si sono pentiti di aver scippato Crujiff lo strapotere freddo e cinico dei tedeschi e la dittatura feroce e ignobile argentina.
Maurizio non aver paura, di provare a vincere con il tuo rigore, non è mica da un cartellino giallo non dato a un giocatore dalla maglietta sbiadita che si giudica un allenatore. Vincerai: in Russia, in Inghilterra, dove vorrai. Ce la farai, il calcio a un certo punto, Claudio Ranieri insegna, ti dà quello che meriti. Non è come la vita.
Arrivederci Maurizio, torna presto. Ti aspettiamo e sarà come se non te ne fossi mai andato. Anzi, meglio.