Tra Napoli e l’Italia una storia di amore e incomprensioni

Dalla sconfitta con l’Argentina in poi qualcosa si è incrinato. Come sarà accolta la Nazionale?
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    di Domenico Zaccaria

    Due luglio 1990, vigilia della semifinale del Campionato del Mondo di Calcio fra Napoli e Argentina. Venti maggio 2012, finale di Coppa Italia tra Napoli e Juventus. Nel primo caso c’è il campione dei campioni che stuzzica il suo popolo per spingerlo alla protesta; nel secondo c’è lo stesso popolo che inscena una clamorosa contestazione davanti a tutto il Paese. Storie diverse, ere geologiche lontane. Ma con un aspetto comune: il rapporto particolare fra la città di Napoli e la nazionale di calcio.

    Re Diego al San Paolo da avversario

    Dopo anni di idillio, culminati del 2 a 1 alla Svezia del 1987 davanti a 80mila tifosi festanti, è il penultimo atto della Coppa del Mondo del 1990 a segnare un punto di svolta. L’Italia di Vicini, imbattuta nelle gare giocate all’Olimpico di Roma, è ormai la favorita per la vittoria finale; il tabellone, però, gli impone di trasferirsi per la prima volta a Napoli per sfidare l’Argentina di quel Maradona che ha appena trascinato gli azzurri allo scudetto. Nei giorni che precedono la gara l’opinione pubblica e i giornali si scatenano: per chi tiferà la gente del capoluogo campano? E così Diego scende in campo 24 ore prima del fischio d’inizio: “Trovo di cattivo gusto chiedere ai napoletani di essere italiani per una sera, dopo che per 364 giorni all'anno vengono trattati da terroni”. Apriti cielo. Il 3 luglio la curva B espone lo striscione “Diego, Napoli ti ama ma l'Italia è la nostra patria”, e ancora: “Diego nei cuori, Italia nei cori”. Il pubblico del San Paolo mostra grande maturità e incita gli azzurri dal 1° al 120° minuto, senza insultare gli argentini e senza fischiare Diego. Ma non basta. L’Italia intera addebiterà la sconfitta della squadra di Vicini non all’uscita sbagliata di Zenga sul gol di Caniggia, né ai rigori sbagliati da Donadoni e Serena, ma a Napoli e alla sua gente. La ferita non si rimarginerà mai.

    Anni di gioie e dolori

    Dopo anni di polemiche sul maledetto 3 luglio del 1990, il ritorno della Nazionale al San Paolo non è più fortunato: sconfitta 0-1 dalla Francia in un’amichevole di preparazione al Mondiale USA, l’Italia esce fra i fischi. Va invece decisamente meglio nelle apparizioni successive: 3-0 alla Polonia (Qualificazioni ai Mondiali) nel 1997 e, nello stesso anno, l’1-0 alla Russia nella gara di ritorno degli spareggi per andare in Francia. Le ultime tre gare, invece, confermano la tradizione non proprio positiva dell’Italia a Napoli: una sconfitta per 2-3 con la Danimarca e due pareggi per 1-1 contro la Serbia e la Lituania. Ergo, gli azzurri che tornano domani al San Paolo dopo ben 7 anni, nel capoluogo campano non vincono dal lontano 1997.

    La protesta all’Olimpico

    E così la gara con l’Armenia può diventare una buona occasione per invertire la tendenza. Ma cosa avverrà sugli spalti? L’ultima volta che l’Inno di Mameli è stato suonato davanti ai tifosi del Napoli è finita male. Finale di Coppa Italia del 2012 allo Stadio Olimpico di Roma: pochi minuti prima del fischio d’inizio la cantante Arisa intona l’inno e dalla Curva Nord occupata dai napoletani parte la contestazione. Fischi assordanti che hanno un obiettivo preciso: denunciare il fatto che da anni non vengano presi provvedimento contro le tifoserie che accolgono il Napoli e i suoi tifosi con cori e striscioni razzisti. Corsi e ricorsi della storia: Diego lo aveva denunciato 22 anni prima, mentre solo dalla stagione in corso si iniziano a punire le tifoserie colpevoli di “discriminazione territoriale”. “Napoli colera: e ora chiudeteci la curva”, hanno scritto polemicamente gli ultras azzurri nell’ultima gara casalinga contro il Livorno. E così la Nazionale torna al San Paolo nel momento in cui il dibattito sul tema è più vivo che mai. Difficilmente uno sceneggiatore avrebbe potuto fare di meglio: che clima ci sarà a Fuorigrotta?

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