Napoli ti serve uno scatto d'orgoglio
Di Antonio Moschella
Fino a quando si riesce a credere in se stessi?
Il palo che sputa fuori un pallone delizioso è l’ennesimo segnale di un periodo maligno. Il sangue si mescola a veleno. La testa è bassa. Gli animi sotto terra.
Le note della litania non cambiano, lo spartito ballonzola e gli interpreti steccano da troppo tempo. Un biglietto troppo caro per un’opera stonata e con un direttore d’orchestra che tentenna e non trasmette l’empatia ai suoi musicisti, né dà fiducia agli spettatori ormai allibiti.
Vedendo dietro il velo si scorge un prosieguo.Non è finita qui. Il Napoli è in ginocchio ma non è disteso per terra. La fiammella è bassa e la candela quasi del tutto consumata, ma la luce non è completamente spenta e può divampare di nuovo. Non per ragioni empiriche ma per quell’istinto di sopravvivenza da cuore infranto.
Resta poco ormai da giocarsi. Tutti hanno le loro colpe ma anche la possibilità di redimersi. È arrivato il momento di sputare sangue, di fare mea culpa e di lasciare sul campo tutto quello che si ha. Lavate di testa e periodi di clausura a parte, l’unico appiglio è l’orgoglio, se ancora ne è rimasto.
Qualche settimana fa, a Marsiglia, un Pazzo ha arringato così i suoi uomini. In molti non avranno compreso il suo argentino cantato e filosofico. Il messaggio però era chiaro. Il risultato non sempre è figlio del merito. Bisogna accettare le ingiustizie, siano esse del vento, delle zolle di campo, degli arbitri o del sistema. Perché alla fine tutto torna. Anche se sembra impossibile.