Napoli, ecco chi ti serve per fare il salto di qualità
di Francesco Pacifico
Se ne andranno Benitez e Bigon, pazienza. Verranno altri mister capaci di mischiare tattica, metodo e galanteria sportiva. E verranno altri Talleyrand del mercato, silenziosi, scaltri, cinici. Ma al Napoli del futuro - come adesso - mancherà quello che nelle aziende (concetto tanto caro ad ADL) si chiama direttore delle relazioni istituzionali. Le relazioni istituzionali, dicono i manuali di management e la legge che le regolamenta, è quell’attività con la quale le aziende si confrontano con le istituzioni e gli stakeholder (i cosiddetti portatori di interessi comuni) per «perseguire interessi leciti propri o di terzi in uno specifico iter di decisionalità pubblica». Proprio quello che servirebbe al Napoli, che - istituzionalmente parlando - è a Napoli una squadra perdente. E che ha un ruolo sociale ben definito dagli usi e dagli equilibri della città, ma ne rifugge come la Germania che ha fatto fallire la Grecia per risparmiare una decina di miliardi. È difficile fare business (altro termine caro al presidente) in un posto dove manca una banca, le infrastrutture sono carenti, gli amministratori locali vivono alla giornata. E basterebbe questo per capire che Aurelio De Laurentiis - in questi dieci anni - ha fatto miracoli. Il presidente, residente a Roma e con casa a Los Angeles ma non a Napoli, rischia però di non lasciare un segno tangibile, avviluppato come nel sogno di trasformare la serie A nel Nba. Progetto che al confronto fa apparire semplice il tentativo di Benitez di insegnare agli italiani che il calcio non è solo ripartenze... Le eccellenze stanno sparendo, la retorica ne amplifica ormai solo il provincialismo, il centro è un'isola sempre più piccola in un mare di periferia. In una città rottamata dalla modernità come Napoli - se ne facciano una ragione gli snob - c'è soltanto una realtà unificante. Ed è il Napoli. De Laurentiis aveva promesso qualche anno fa la “scugnizzeria”, versione napolegna della Cantera del Barcellona, dove si gioca, si studia e si trasformano reietti in bambini. Adesso, dopo Insigne, forse solo Hamsik capisce i cori in dialetto. Ci sono club che hanno accademie nei quartieri disagiati. Campus dove s'insegna la tattica ai disoccupati per ridare loro mordente dignità. L’Inter tiene allenamenti per bambine e bambini in via di guarigione e guariti dalla leucemia all’ospedale di Monza. Il Milan, a Napoli, partecipa a campagne contro la dispersione scolastica e per la corretta alimentazione. Proprio i blaugrana presero il tredicenne Messi malato di ipopituitarismo, lo curarono e ne fecero un campione. Il Napoli, per esempio, partecipa al progetto “FOQUS”, che dà servizi scolastici a 300 bambini in un complesso di circa 6000 metri quadri di Montecalvario. Ma qui non si tratta di semplice beneficenza. Con il brand (altra bestemmia lessicale che piace al presidente) che si ritrova, il Napoli potrebbe riempire quel ruolo di welfare integrato che si sente in città. E che dovrebbero accollarsi le aziende private. E può farlo, perché ci sono i soldi, l'autorevolezza e l'amore della città. Sai le energie recuperate, quali progetti di riqualificazione sociale e urbanistica, quante professionalità motivate e non costrette più a emigrare. Sì, è un'utopia molto americana e un po' compassionale pensare, in Italia, che i padroni si sostituiscano alla Stato come facevano fino agli anni del Boom. Infatti chiediamo al Napoli calcio di fare quello che a Milano realizzano le fondazioni bancarie, a Roma gli enti legati al Vaticano, a Firenze e Bologna gli ultimi baluardi un po' massoni della borghesia illuminata e dell'accademia. Caro Extranpoli, ma non pretendiamo dal presidente di girare tra le scolaresche di Miano, di portare la Bellucci a Nisida o di motivare i giovani laureati. Lui deve fare i film. È da quegli incassi che arriveranno i soldi per un Khedira (chi scrive lo vede già con la maglia di Inler) o David Luiz, perché i Dybala e i Falcao li lasciamo a parvenu e agli sceicchi. Però, assieme alle caselle di Bigon e Benitez, ADL deve assoldare anche un direttore delle relazioni istituzionali, che parli alla città e lavori per la città. E si potrebbe scegliere magari un ex campione, che sia credibile davanti ai tifosi (senza esserne schiavo), al quale le autorità non potrebbero mai dire no e che conosca le necessità del territorio. Niente di complesso, come Zanetti all'Inter e Pessotto alla Juve. Per ADL, travestirsi da Adriano Olivetti, sarebbe un investimento a costo zero. Spazzerebbe via le miserie e i ricatti di una classe politica che ha introiettato - sbagliando - l'equazione vittorie uguale a voti. Realizzerebbe più facilmente progetti oggi utopistici (che bello se trasformasse Fuorigrotta in Disneyland…). Restituirebbe, in servizi, l'amore e i soldi che i 60mila del San Paolo gli hanno garantito in questi anni. In cambio lo ricorderemmo accanto a mostri sacri come Ascarelli, Lauro e (persino) Ferlaino. Poi, se vincesse lo scudetto…