Caro Napoli impara a giocare “peggio”: solo così ritrovi la vetta
di Errico Novi
Ci penso da sabato e mi sforzo di capire perché abbiamo perso. In cosa abbiamo sbagliato. Perché a un primo sguardo una vera ragione non c’è: abbiamo giocato da grande squadra, soprattutto nel primo tempo. Lo abbiamo dimostrato per tutta la partita, di avere personalità da grande squadra: mai intimoriti dall’avversario, mai in soggezione e in inferiorità dal punto di vista atletico, mai spaventati dalla pressione dello stadium più asfissiante d’Italia. Una ragione vera che spieghi la sconfitta però dev’esserci. Una logica che non si riduca alla casualità del gol di Zaza o al presunto piccolo peccato d’indolenza di fronte alla Juve remissiva del secondo tempo.
E l’unica spiegazione possibile è proprio che nella prima frazione di gara abbiamo giocato troppo bene. Come squadra, come impostazione tattica e per concentrazione. Non per brillantezza dei singoli, certo, perché Higuain, Hamsik e soprattutto Insigne non si sono mai accesi. Ma quello che conta nel giudicare una squadra e nello spiegare una partita è il collettivo. E collettivamente il Napoli ha giocato un primo tempo impeccabile: pressing perfetto, fin dentro l’area di rigore avversaria (l’area della Juventus!), disimpegni perfetti, raddoppi perfetti. Tutto questo ha richiesto un prezzo. In termini di fatica, di gambe, e di forza nervosa. Un prezzo alto. Che nella ripresa abbiamo pagato fino all’ultimo spicciolo. In termini di gambe appunto, venute a mancare quando avremmo dovuto approfittare di una Juve in evidentissimo calo fisico.
Lì tutti hanno giustamente detto che dovevamo affondare il colpo. Sono d’accordo, è così. Con un piccolo scarto, una sfumatura, nel giudizio: quasi tutti imputano la rinuncia al colpo di grazia a un deficit di “mentalità”. Io non ci credo. Non è questione di testa, di carattere o di fame di vittoria: che voglia e concentrazione, nei ragazzi di Sarri, fossero al massimo grado, lo si era capito nella prima parte. Se non abbiamo affondato il colpo è appunto per la stanchezza, per le gambe venute meno. Una stanchezza più mentale che fisica forse. Ma di mancanza di carburante, di forza, si è comunque trattato.
E allora vuoi vedere che l’errore, se così si può chiamarlo, sta proprio nell’aver giocato “troppo bene” il primo tempo? Secondo me è così. Abbiamo dato il massimo per costringere la Juve a starsene il più lontano possibile dalla nostra porta e per farle cominciare l’azione con la massima fatica possibile. Li abbiamo stancati, certo. E infatti a metà ripresa la Juve non era più sulle gambe. Lo hanno ammesso Buffon, Allegri, Marchisio. Ma ci siamo sfibrati pure noi. Presi dall’urgenza e dall’imperativo categorico di soffocare il pericolo juventino nella culla, abbiamo spento le nostre stesse energie.
Avremmo forse dovuto giocare “peggio”, nel primo tempo. Nel senso che ci sarebbe voluta una prestazione più “sporca”. Il pressing, va bene, ma magari fatto a tratti. Tanto da essere persino più imprevedibile. Palla a terra e palleggio dentro-fuori, d’accordo. Ma magari ogni tanto anche qualche pallone tirato avanti più a casaccio, a costo di regalarlo a loro, per trovare il movimento del Pipita o il ritorno di Insigne, Callejon, o delle due mezzali, su una seconda palla. Ecco, forse meno liscio, meno impeccabile, più casuale ma anche meno dispendioso: così avrebbe dovuto mostrarsi il Napoli nel primo tempo. E così forse, nella ripresa avremmo potuto far valere una condizione atletica oggettivamente migliore della loro e la classe di quei due-tre nostri campioni che possono decidere la partita da soli.
In questo – in questo sì, e non in non una non meglio precisata mentalità vincente – avremmo dovuto imitare la Juve. Che in fondo ci ha fregati proprio giocando una partita più “sporca” della nostra, nel primo come nel secondo tempo: meno presenza sull’inizio della nostra azione, raddoppi sì ma non così puntuali in tutte le parti del campo, concentrazione alta ma non fino al parossismo di completare alla perfezione quasi tutti i disimpegni difensivi per poi trovarsi senza fiato sull’ultimo passaggio – come in effetti è capitato a noi.
E questo – questa necessità di essere più “impuri” che Sarri deve secondo me assolutamente tenere presente – è la lezione che ci viene da un grande avversario come la Juve. Forse un pelo meno forte di noi, negli undici, ma meglio capace di ottimizzare le proprie energie, comunque sulla carta inferiori alle nostre. La morale della favola è che essere “perfetti”, almeno tatticamente, come lo siamo stati noi nel primo tempo, non serve contro squadre come la Juve, e anzi è controproducente. Mettercela tutta per non perdere un contrasto o una seconda palla rischia di essere uno spreco, se di fronte hai una squadra e soprattutto una difesa forti come quelle bianconere. Devi risparmiare, fare economie. Di fatica e di energie mentali. E poi far valere la superiorità delle giocate dei tuoi campioni, e una qualità complessivamente superiore della manovra. Essere brutti, irregolari, per essere più puliti e incisivi al momento giusto. La Juve lo ha fatto benissimo, adattandosi a uno stato di forma, il proprio, di gran lunga meno brillante del nostro. Tanto da ripiegare spaventata, come ha giustamente notato Boris Sollazzo. Lo avessimo fatto noi, forse avremmo segnato anche più di un gol, a fronte all’unica fortunata rete con cui ci hanno battuto. Impariamo a sprecarci di meno, che contro difese come quella di Allegri è inutile sbattersi troppo. Non si segna, se non con un lampo, con una giocata risolutiva, che magari arriva tardi, a ripresa inoltrata, quando si molla un po’.
Dovremmo capire che così andava fatto con la Juve e forse dobbiamo capire che proprio noi – così brillanti, così “belli” e compiaciuti del nostro gioco – dobbiamo essere più sporchi in tutte le partite che restano, da qui alla fine della stagione. Siano belli, appunto, abbiamo il gioco migliore, e dobbiamo fare in modo che questa virtù non diventi paradossalmente un limite. Dobbiamo sporcarci le mani e le partite. Essere umili e pragmatici nelle giocate, almeno un po’. Perché così ce la faremo, a gestire le forze e arrivare fino in fondo, a braccia alzate, alla fine di queste tredici finali.