Il resto della settimana, questo è tifo
di Boris Sollazzo
Gli striscioni della Curva Sud. L'orrore dei social che vedono spesso anche i più moderati solidarizzare con chi è solidale con gli assassini. La foto di Sandra Milo che urla Ciro a irridere Antonella Leardi dopo averla insultata. E poi ancora il comunicato stampa della società As Roma, pilatesca lavata di mani.
Il fine settimana calcistico pasquale, ahinoi, è stato questo. E ogni volta che ingoiamo amaro il calice degli ultras che tiranneggiano gli stadi, del razzismo feroce che li percorre, dell'ignavia di chi non sa né vuole dissociarsi, dimentichiamo cos'è il tifo, cos'è il calcio, cos'è una comunità che si riconosce in un'identità giocosa e serissima, colorata e appassionata, pulita e vera. Uno sport che ha saputo farsi amare più di ogni altro, nell'ultimo secolo e più.
E allora può aiutarti un libro a ricordare perché un pallone di cuoio può farti battere il cuore.
Il resto della settimana, edito da Rizzoli e scritto da Maurizio De Giovanni, per esempio.
Vi chiederete cosa c'entra il commissario Ricciardi con il calcio. C'entra, eccome. L'autore napoletano, infatti, tra il 2008 e il 2010, scrisse un poker di gioielli per la casa editrice Cento Autori: Juve-Napoli 1-3, la presa di Torino, poi Ti racconto il 10 maggio, Miracolo a Torino, Juve-Napoli 2-3 e infine l'antologia Storie Azzurre. Opere compatte e potenti che si incastonavano in giorni speciali per i tifosi e la città di Napoli, in imprese uniche e irripetibili, nel riscatto del ribelle sorridente contro il potere snob. Calcio, società, caratteristi della vita e mosaici emotivi, De Giovanni in quella collana calcistica ci ha spiegato cosa può essere la passione per i colori di una squadra di calcio. Anzi, LA squadra di calcio, quel Napoli che ha fatto tremare tutta la città contro il Manchester City e ha fatto paura a Yaya Touré, per dire. Che ha tirato fuori dolci parole da Ibrahimovic. Sì, proprio da Zlatan il terribile.
Ecco, ora questo scrittore, capace di avvolgerti con i suoi noir così vividi e ironici, leggeri e penetranti, che sa fare alta letteratura incastrata nel genere, che muove la penna nel dedalo della sua fantasia con quell'incedere anglosassone, nel dipanare le trame, e quelle intuizioni mediterranee, mixando tutto con una prosa nobile e popolare, ora torna al Napoli. Con un libro e un professore intento a sconfiggere la possibile noia della pensione e una carriera troppo accademica con un'indagine sui tifosi al di sopra di ogni sospetto. Non gli ultras, appunto, ma quelli che affollano i bar giusti, che anche nei giorni più importanti per il loro lavoro, le loro famiglie, la loro salute, si chiedono come affronterà la propria squadra la prossima partita, commentando con trasporto il match precedente. Infiammandosi contro gli amici migliori, magari, e trovando spalle fedeli in perfetti sconosciuti.
Come si fa a recensire Il resto della settimana? Non si può con i canoni critici tradizionali. La fluidità del racconto, la capacità immaginifica della scrittura di De Giovanni, la levità di un'analisi che è sociale ed emozionale, la potenza dei racconti brevi che costruiscono la piramide narrativa, non bastano a farvi capire cos'è questo libro. Che è poesia e realtà, che in giorni in cui siamo trascinati nel fango delle meschinità, ci fa andare nei Distinti del San Paolo in cui un'improbabile compagnia di giro ingurgita calorie in eccesso e si abbraccia compulsivamente, o in una tribuna, una sera, in cui un padre e un figlio suggellano una vita in 96 minuti. Cos'è questo libro? E' il racconto di un uomo che vuole scrivere un saggio sul tifo azzurro e trova il suo laboratorio, il suo punto d'osservazione nel luogo più popolare e democratico che ci sia, un bar. Che capisce che non può analizzare l'argomento con le lenti dello scienziato, ma con il cuore dell'innamorato, di quello che vede passare davanti a sé la donna dei sogni e la riconosce subito. Lo scrittore sa dipingere un amore appena nato, raccontandone diversi che portano con sé la bellezza degli anni, delle conferme, dell'incapacità di farsi intaccare da delusioni e illusioni. Ci fa ridere, pensando a una macchina che va a Torino, a qualcuno che si risveglia a Sorrento, a un'altra auto nata da dei rottami, alle descrizioni di improbabili supporter uniti da una frequentazione bisettimanale che li rende fratelli e sconosciuti insieme. E ci si commuove per i rapporti padre-figlio che ci fa vivere, sempre in giorni speciali. E poco conta che sia la partita del primo scudetto o il passaggio di un turno in Europa. Conta quello sguardo d'intesa, quella felicità speciale, quella lontananza che diventa di nuovo sangue comune. Azzurro, ovviamente. De Giovanni non attacca altre squadre, compone una sinfonia in onore della sua. Racconta una comunità non violenta, incapace di insulti, priva di ferocia. Racconta un mondo popolato di uomini e donne coscienti di essere malati, ma con nessuna intenzione di guarire. Orgogliosi di un'identità che si costruisce sulle sconfitte, spesso, si aggrappa a qualche vittoria speciale e poi venera un solo Dio, quel Diego Armando Maradona che di quella meravigliosa città che è Napoli riassume perfettamente l'indole, l'intelligenza geniale, le contraddizioni, la capacità d'essere inferno e paradiso, l'irripetibilità.Qualcosa che non si può capire. Ma che oggi, grazie a lui, si può vivere se non si ha la fortuna di essere stati contagiati in precedenza.
Il tifo è un vulcano che travolge tutto con il calore, ma non distrugge nulla. Maurizio De Giovanni lo sa. Perché è un tifoso. E sa raccontare qualcosa di inspiegabile. Perché è uno scrittore. Uno dei migliori del nostro tempo.